in
Abruzzo
In mille al
raduno della Vespa
Più di mille
persone hanno partecipato alla due giorni dedicata
all'inventore della Vespa, Corradino D'Ascanio, e a San
Francesco, partecipando al raduno internazionale che ha
visto la partecipazione di tutti e 80 i Vespa club italiani
e di diversi vespisti giunti da tutta Europa. Inaugurato
anche il monumento a D'Ascanio. 26 giugno 2016 conosciamo
oggi un altro genio italiano appunto Corradino d’Ascanio (Popoli
1891 – Pisa 1981) è sicuramente una delle menti più
brillanti e visionarie che l’industria delle due ruote a
motore abbia mai conosciuto. Non è sua la paternità del
veicolo scooter, ci sono stati altri esempi anche prima
della Seconda Guerra Mondiale, come ad esempio la ABC
Skootamota del 1921 o il prototipo Fiat del 1938 con la leva
del cambio piazzata come quella di un’automobile, ma è
sicuramente sua la realizzazione più geniale, utile ed anche
bella del più cittadino dei veicoli. Di Vespa ne sono
state costruite oltre 17 milioni di esemplari dalla prima
del 1946, ma paradossalmente Corradino D’Ascanio la
considerava la sua “rovina”. Perché il successo dello
scooter più famoso al mondo aveva, di fatto, impedito alla
Piaggio di continuare a finanziare gli studi sull’elicottero,
la vera ragione di vita e il sogno dell’ingegnere abruzzese
(nella gallery le foto storiche dei suoi prototipi di "ala
rotante"). “L’aviazione è stata per me una continua febbre.
Fin da bambino volare era per me il sogno più bello e
accarezzato. Per ore stavo a guardare le rondini e le
invidiavo”. Così diceva l’ingegner D’Ascanio, che prima di
diventare il progettista della Vespa aveva costruito vari
prototipi di elicottero ed è riconosciuto come uno dei padri
di questo oggetto molto complicato e ingegneristicamente
molto impegnativo. È il 1930 quando, sull’aeroporto di
Ciampino, il suo elicottero si solleva e vola stabilmente.
Ma gli enormi costi di realizzazione dell’elicottero mandano
quasi in rovina D’Ascanio, che dalla sua fervida mente
congegna nel 1931 un’elica alla quale si possa variare il
passo in volo: l’invenzione interessa la Piaggio per dotarne
i suoi motori che venivano montati sui bombardieri. Da qui
lì ingresso nella fabbrica di Pontedera nel 1934 (vi rimarrà
fino al 1961) all’inizio come direttore tecnico dell’ufficio
studi delle eliche con la richiesta di integrare lo
stipendio con una royalty del 10% per ogni elica venduta.
L’attività aeronautica di D’Ascanio continuerà anche dopo la
seconda guerra Mondiale ma viene interrotta nel 1952
complice un incidente di volo che porta Enrico Piaggio a
bloccare ogni sviluppo dell’elicottero. L’ingegnere
abruzzese si dedicherà maggiormente allo scooter e alla
piccola automobile di Piaggio, la Vespa 400 cc con motore
bicilindrico due tempi di 393 cc, cambio a tre marce e
velocità massima di 90 km/h. Corradino d’Ascanio fu anche un
grande inventore che spaziò da oggetti come il distributore
orario di sigarette
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Popoli- Locandina
Vespa - Sordi & Fabrizi
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(fatto per se stesso, per
cercare di fumare meno) a un sistema per monitorare automaticamente
l’inclinazione degli aeroplani lateralmente e nel beccheggio, a un
forno elettrico per la cottura del pane, una macchina per la ricerca
e la catalogazione dei documenti, (1925), il segnalatore di eccesso
di velocità, ma anche l’embrione della cyclette. Per spingere ancora
di più le vendite della Vespa, progettò degli espositori “magici”
che facevano apparire lo scooter sollevato da una colonna d’acqua
oppure in equilibrio su un ramo di pesco (con un adeguato
contrappeso ben occultato alla base) sino a far correre
letteralmente la Vespa senza nessun sostegno su un sottile filo
metallico grazie a un giroscopio che la teneva in perfetto
equilibrio: una vera magia!
Vespa -
Dascanio
LA VESPA 98
Perché la Vespa ha avuto un così grande successo planetario? Non è
facile rispondere a questa domanda. Venne presentata la prima volta
a Torino, il 14 marzo del 1946 alla mostra della Meccanica e
Metallurgia, poi in pompa magna a Roma, al Golf Club e venne venduta
nelle concessionarie Lancia perché si pensava che fosse più adatta a
un utente non motociclista. Prima di offrirla alla casa
automobilistica venne chiesto ai Parodi, i proprietari della Moto
Guzzi, di proporla nella loro rete commerciale, ma gli armatori
genovesi non la ritennero interessante per i loro clienti. La Vespa
98 poteva essere acquistata anche a rate, costava 55.000 lire (lo
stipendio medio di un operaio era di 10.000 lire) per il modello
Normale e 61.000 lire per quello lusso, che differiva dallo standard
per il manubrio cromato e i listelli della pedana con il profilo
gommato. All’inizio non riuscì subito ad attirare i motociclisti per
via del pregiudizio delle ruote piccole, che non garantivano la
stabilità di quelle più grandi da moto, e non interessava gli
automobilisti che potevano permettersi più comode e stabili quattro
ruote in un’Italia dalle strade massacrate dalla guerra. Però,
rispetto a quanto si è sempre detto, non è vero che la Vespa
all’inizio fu un insuccesso tanto che ne furono costruite 15.239
esemplari nei suoi tre anni di produzione. E’ vero, invece, che se
ne costruirono poche per la mancanza di materie prime e di
macchinari adatti allo stampaggio delle scocche.
La prima 98 resta in produzione due anni, poi arriva la 125 e
comincia veramente la grande diffusione e la fantastica storia che
continua ancora oggi si comincia ad apprezzare la razionalità, la
robustezza, l’affidabilità e l’economia di esercizio. Ovviamente, la
Piaggio sostiene il suo prodotto con azioni che oggi chiameremmo di
marketing, come i club, i raduni, la partecipazione alle gare più
dure come la Sei Giorni. Torniamo però un passo indietro e alle
considerazioni di D’Ascanio su quello che doveva essere la Vespa.
L’ingegnere abruzzese voleva avere carta bianca da Enrico Piaggio:
assolutamente acerbo di motociclette (anche se il suo primo aereo
aveva come motore un bicilindrico Harley-Davidson) D’Ascanio aveva
pensato la Vespa come un veicolo adatto a chi era digiuno di ruote a
motore, anche indicato per il pubblico femminile. Così nasce il
cambio al manubrio dove basta ruotare la leva per innestare la
marcia, non occorre scavalcare un serbatoio per salire in sella, non
ci sono cavi e catene in vista che possono rompersi, la completa
carenatura non sporca gli abiti e le ruote sono facilmente
smontabili per riparare alle forature. E poi, ottimizzando le sue
esperienze aeronautiche, studia una scocca di metallo, quindi
robusta e facilmente riparabile, al posto del telaio, la ruota
anteriore prende lo spunto dal carrello anteriore degli aerei. Tutto
lo scooter è stato progettato pensando a una realizzazione in grandi
numeri, in modo da essere il più economico possibile, tanto è vero
che Piaggio, senza avere in mano anche un solo ordine, ne prevede la
produzione di 10.000 pezzi.
COME È FATTA E COME VA LA VESPA 98
“È un veicolo che a differenza della motocicletta vera e propria può
andar bene per tutti i ceti sociali e per ambo i sessi. La sua
struttura non implica acrobatismi per salire in sella e non impegna
affatto per mantenerla in equilibri a velocità ridotta in mezzo al
traffico”. Così scriveva Motociclismo sul fascicolo di aprile del
1946 e proprio questa facilità della guida, che la caratterizza
ancora oggi, porterà al vero successo la Vespa. Il suo motore viene
costruito appositamente per questo veicolo: è un semplice due tempi
(98 cc, alesaggio x corsa 50 x 50 mm, miscela al 5%) posizionato sul
lato destro con l’albero secondario del cambio che è innestato
direttamente sulla ruota motrice. Il cambio a tre rapporti è
comandato dalla manopola girevole al manubrio che innesta le marce
tramite una serie di rinvii mentre l’albero motore ha sul lato
sinistro la frizione a dischi multipli e su quello destro il volano
magnete, sul quale è calettata la ventola per il raffreddamento
forzato. Le ruote in lamiera e scomponibili sono da 8 pollici (i
pneumatici da 3,50) e montate a sbalzo. Il telaio è una monoscocca
saldata e la sola sospensione è quella anteriore il cui molleggio è
garantito da due molle a chiocciola mentre dietro non esiste
sospensione e il motore è montato su un telaio costituito da un
braccio tubolare dove si blocca il motore e da una struttura ad U
che si innesta alla scocca. La Vespa è lunga 1.655 mm, ha la sella a
700 mm da terra e pesa a vuoto 60 kg. Le prestazioni dichiarate sono
modeste perché la potenza è di 3,2 CV a 4.500 giri, la velocità
massima di 60 km/h e il consumo di 50 km/l.
I grandi pregi di questo veicolo sono quindi l’estrema facilità
d’uso, la proiettività e l’affidabilità. L’avviamento era
facilissimo, la frizione non era poi molto dolce nel distacco anche
perché le guarnizioni dei dischi erano poco più che tappi di sughero,
gli innesti del cambio, di conseguenza, non erano proprio
prontissimi anche a causa dei giochi che si formavano lungo la via
di trasmissione delle lunghe bacchette che partivano dal manubrio
per arrivare al motore. La velocità massima era più vicina ai 55
km/h effettivi che ai 60 km/h dichiarati e il consumo si assestava
sui 30 km/l al posto degli ottimistici 50. Ma la Vespa ripagava
abbondantemente perché sapeva digerire benzine e oli da miscela di
pessima qualità come le dissestate strade italiane, magari
trasportando ben più di due persone.
RICORDI DI UN COLLAUDATORE
Dal numero 2-1996 di Motociclismo d’Epoca, dove è stato pubblicato
un corposo dossier, ben 38 pagine, sulla storia della prima Vespa,
abbiamo riportato gli aneddoti di Anchise Del Corso, classe 1925,
entrato alla Piaggio nel 1940 e in forza al reparto sperimentale e
sala prove e dal 1945 al 1964. Del Corso ricorda alcune curiosità
relative ai collaudi delle prime Vespa: "Il raffreddamento della
testa e del cilindro non era omogeneo. Cosi l'ingegner D'Ascanio
ebbe l'idea di immettere borotalco nel convogliatore per vedere bene
dove andasse (o non andasse) a battere l'aria inviata dalla ventola.
Seppure molto empirica, questa prova (eseguita naturalmente al banco)
diede indicazioni utili per migliorare il raffreddamento, ma
trasformò i presenti in pesci infarinati. Per provare la tenuta
delle gomme sul bagnato non si aspettava certo che piovesse: ci
facevamo gettare sulla strada, specialmente in curva, delle gran
secchiate d'acqua e poi ci passavamo sopra. Per affrettare il
rodaggio dei motori, aprivamo lo sportello del carburatore e ci
facevamo precedere lungo una strada polverosa da un mezzo che
trascinava fascine, sollevando così un gran polverone: Un po' ci
entrava nei polmoni ma un po' anche nel motore, determinando un
perfetto accoppiamento tra cilindro e pistone”.
LA VESPA PRIMA DELLA VESPA
Sulle origini del nome Vespa si sono scritte molte “verità”, come
quella del rumore di scarico simile a quello prodotto dall’insetto,
ma la più accreditata è quella riferita al fatto che Enrico Piaggio
vedendola con quella sua codona e la vita sottile cavalcata da un
robusto collaudatore abbia detto “reggerà il peso con quella sua
vitina da vespa?”. Ma esisteva un’altra Vespa, sempre a due ruote e
costruita nel 1943 da un’altra azienda aeronautica, la MV Agusta
(qui la foto). Viste le sorti sicuramente già segnate della Seconda
Guerra mondiale anche la MV che produceva aerei su licenza e pure
gli riparava, pensò di riconvertirsi alla produzione di motociclette.
Realizzato in gran segreto un prototipo, nascondendolo ai soldati
tedeschi che occupavano la fabbrica, la moto era una semplice due
tempi con motore di 98 cc, tre marce e capace di una potenza di 3,5
CV a 4.800 giri. Pesava solo 70 kg, sfiorava i 65 km/h e costava
135.000 lire. E il suo nome, almeno all’inizio era proprio Vespa, ma
poi si rimediò sulla sigla che ne evidenziava la cilindrata poiché
la Miller Balsamo di Milano aveva già depositato questo nome nel
1935. La Vespa di Piaggio ha questo nome sullo scudo probabilmente
perché non era considerata una “vera” moto, nonostante che nel
brevetto depositato nell’aprile del 1946 la si presenti come:
“motocicletta a complesso razionale di organi ed elementi con telaio
combinato con parafanghi e cofano ricoprenti tutta la parte
meccanica”.
@nonnoenio
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